“The Life and Times of Alvin Baltrop” di A. S. Bessa (2019) e la cultura gay underground dei moli di Manhattan

Gli Stati Uniti sono un importante tassello per la storia gay di tutto il mondo, in particolar modo il paese ha vissuto negli ultimi 60/70 anni svariati eventi interessanti e curiosi che hanno contribuito all’attuale clima maggiormente liberale nei confronti della comunità LGBT occidentale, tra di questi ci sono molti eventi ormai conosciuti da quasi tutti e che sono stati affrontati da molti, e altri che invece, nonostante siano molto interessanti e curiosi, purtroppo restano poco conosciuti e in pochi se ne sono occupati, sono quest’ultimi che incuriosiscono maggiormente chi vi sta scrivendo e per questo ho deciso d’introdurre alcuni nel mio blog, oltre a invitarvi nel farne conoscere altri a me e tutti i lettori tramite la sezione dei commenti qui in basso.
Uno di questi temi, che mi ha incuriosito nelle ultime settimane, riguarda la città di New York e la fiorente subcultura gay che si andò a creare nelle zone più pericolose e desolate della città, documentata da vari artisti, molti dei quali rimasero nell’ombra fino a non molto tempo fa.

Erano gli anni subito dopo Stonewall e pre-AIDS, nella New York d’inizio anni ’70 si respirava una nuova aria liberale, una nuova era, fatta di una maggiore accettazione sociale dell’omosessualità e delle altre minoranze sessuali, per molti anni la grande mela fu una meta ambita per molti giovani della comunità LGBT che si recarono in città pronti a vivere più liberamente la loro sessualità, nel giro di poco si andarono a formare svariati luoghi d’incontro di diversi generi per un po tutte le estrazioni sociali, tra di questi nacque anche il “Pier 52”, un molo abbandonato nella zona di Manhattan tagliato fuori dal solito trambusto della città, che divenne un punto di riferimento per il cruising gay, l’uso di droghe, la sperimentazione artistica e anche per i molti giovani omosessuali che qui vi trovarono una casa, dopo essere stati cacciati dalle famiglie perché omosessuali.
Un ambiente spaventoso, folle ma allo stesso tempo unico e incredibile che fu reso possibile grazie alla profonda crisi economica in cui versavano i conti della città di New York, rendendo il controllo di quella zona o lo smantellamento di quei capannoni una spesa non necessaria secondo l’amministrazione dell’epoca.
Molti artisti tra cui Gordon Matta-Clark e David Wojnarowicz trovarono qui materiale per i loro nuovi lavori, in un enorme palcoscenico molto suggestivo fatto di edifici in rovina; ma in pochi, secondo me, riuscirono a catturare veramente l’essenza di quei luoghi come fece Alvin Baltrop, fotografo newyorchese sconosciuto al grande pubblico fino a non molti anni fa, che si distinse dagli altri artisti mostrandoci quel mondo attraverso gli occhi di un uomo gay che veramente visse e respirò l’aria di quegli ambienti per diversi anni; appostato quotidianamente all’interno di quell’area scattò per oltre un decennio centinaia di fotografie, catturando piacevoli bagni di sole, cruising, atti sessuali e anche diverse scene del crimine, opere uniche che oggi commemorano la vita gay di New York City in un momento di rottura tra rovina e caos, fornendo un’importante testimonianza storica e sociale, con immagini forti e rivoluzionarie per la loro audacia visiva.
Vista la grande importanza di queste immagini per la città, esse ora si trovano all’interno del Bronx Museum, ma negli ultimi anni alcuni editori hanno deciso di creare dei libri, per diffondere maggiormente queste realtà passate, uno dei più belli e significativi secondo me è “The life and times” del 2019, che viene mostrato in questa pagina.

“The Life and Times of Alvin Baltrop” di Antonio Sergio Bessa (ed. Skira, 1a Edizione 2019)

Alcune delle fotografie di Alvin Baltrop, le prime tre presenti nella slide furono scattate mentre era arruolato in marina, tra il 1969 e il 1971, le ulteriori sono state realizzate nella zona dei moli di Manhattan.

Il volume, oggi fuori produzione, non si limita a mostrare esclusivamente le immagini dei moli ma inizia facendoci conoscere chi era veramente Alvin Baltrop e la situazione sociale che si viveva nella città di New York, ci viene successivamente presentato un po tutto il lavoro fotografico dell’artista, partendo dalle fotografie realizzate mentre era arruolato in marina, per poi proseguire con le sue opere più importanti costituite dai magazzini abbandonati situati lungo i moli del West Side di Manhattan durante tutti gli anni ’70 e inizio ’80, che ci illustrano la cultura gay underground che fiorì lungo il fiume Hudson.

Ritratto di Alvin Baltrop (1980 Ca.).

Ma chi era Alvin Baltrop?
A. Baltrop era un uomo socialmente non troppo distante da tutti quelli che ogni giorno frequentavano il Pier 52, nasce e cresce nel Bronx vicino allo Yankee Stadium l’11 dicembre 1948, Veniva da una famiglia povera, sua madre lavorava come domestica ed era una testimone di Geova; a soli tredici anni ricevette la sua prima macchina fotografica, con cui realizzò i suoi primi lavori usando come soggetto i raduni di Malcolm X e lo Stonewall Inn, dove lui e un amico, entrambi minorenni, stavano al guardaroba in cambio di qualche bevuta.
La famiglia purtroppo non vedeva di buon occhio l’omosessualità e il giovane Baltrop era costretto a nascondere i suoi scatti, che un giorno furono dati alle fiamme dopo che la madre li scovò.
Durante l’adolescenza scoprì i cruising nel Bronx, e iniziò a frequentare i parchi vicino allo Yankee Stadium finché non si arruolò in marina, dove restò fino al 1971, qui iniziò a sviluppare seriamente il suo talento da fotografo, realizzando numerosi scatti che mostravano la routine dei marinai senza tralasciare ovviamente le foto di nudo di quest’ultimi.
Fu solo intorno al 1973 quando, tornato a New York, scoprì i moli e la loro movida underground iniziando a frequentare la zona in cerca di sesso occasionale, si rese ben presto conto dell’importanza che quei luoghi potevano avere per la sua arte e dopo la prima serie di scatti si decise nel rendere i moli e tutto quello che vi accadeva il suo soggetto principale, ciò diventerà poi la parte più importante del suo lavoro, della quale però non ne verrà mai riconosciuta la bellezza e l’importanza finché era in vita, nessuno era disposto a offrire spazi o ad aiutarlo a mostrare le sue fotografie e mentre era ancora vivo riuscì solo a creare un paio di esposizioni una in un bar gay del Est Village, che allestiva mostre private per i suoi clienti, e una in un’associazione gay senza scopo di lucro.
Nonostante fossa messo male economicamente e non ricevette aiuti ne riscontri dalle varie gallerie della città, Baltrop era comunque convinto che fosse importante continuare a documentare quella realtà, sapendo bene dell’importanza sociale e storica che avrebbero avuto i suoi scatti per i posteri.
Morì nel 2004, all’età di 55 anni malato di diabete e cancro, lasciando migliaia di fotografie, negativi e diapositive all’amico Randal Wilcox che nel 2011 istituì l’Avin Bastrop Trust finché nel 2014 l’intera eredità artistica fu affidate al Bronx Museum e divisa con le collezioni permanenti del Whitney Museum of American Art e il Museum of Modern Art di New York.

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